S'E' ROTTA LA MACCHINETTA..... - VERSILIAVILLAGE

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S'E' ROTTA LA MACCHINETTA.....

QUESTECONOMIA > LA TERZA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE - Sue conseguenze sull'organizzazione sociale
LA ROTTURA DEL MECCANISMO DEL BENESSERE

 
Il mecccanismo che ha garantito la diffusione del benessere in occidente nel '900 si è inceppato.
Il processo di industrializzazione iniziato alla fine del 1800, oltre a mettere a disposizione degli abitanti dei Paesi occidentali merci sempre più abbondanti ed a prezzi sempre più bassi, ha consentito la formazione di un mercato sotenuto da una moltitudine di acquirenti, la classica "domanda". Per produrre occorrevano lavoratori dipendenti cui veniva per la prima volta nella storia garantito da parte di un detentore di capitali un reddito ragionevolmente costante nel tempo, anni luce distante da quanto accadeva nell'economia agricola ove il reddito era incerto, occasionale, dipendente dai capricci della natura, ed il lavoro al di fuori dei campi era sempre "a richiesta".
La disponibilità di lavoro e della relativa remunerazione  hanno riversato sul mercato dei beni di consumo grande quantità  di denaro e molta disponibilità a fare debito, creando un mercato che ha incrementato la produzione di beni con una domanda sempre crescente, dato il punto di arretratezza nella soddisfazione della domanda di beni di consumo in cui si versava nel periodo pre-industriale.
 
Aumentando la domanda del mercato, gli imprenditori venivano incentivati ad aumentare la produzione.
 
Per aumentare la produzione era indispensabile assumere nuovo personale. La tecnologia del 900 metteva a disposizione della industrie solo macchinari manuali o semiautomatici, per il cui funzionamento erano necessari uno o più operatori. Ugualmente per gestire l’aumentato volume d’affari ed il relativo sviluppo commerciale e finanziario erano necessari nuovi impiegati.
 
In altri termini si è creato nel 900 un meccanismo in base al quale ad un aumento della domanda del mercato corrispondeva un aumento della occupazione, la quale creava nuova domanda sul mercato che a sua volta incrementava la produzione quindi nuova occupazione e nuova domanda, e così via in una spirale virtuosa.
 
Non solo, ma dato che per fare funzionare al meglio le macchine manuali o semiautomatiche, essendo comunque macchine complesse, occorreva maturare esperienza manuale nel loro uso, i lavoratori dipendenti, sia operai che impiegati, conseguivano delle specializzazioni che li rendevano non facilmente sostituibili.
 
In altri termini, l’imprenditore che si trovasse ad avere alle proprie  dipendenze mano d’opera  qualificata, anche in presenza di una crisi, tendeva a non licenziare i propri dipendenti più qualificati, creando stabilità sul mercato del lavoro.
 
Questo meccanismo oggi, con l’evoluzione tecnologica in atto, si è rotto definitivamente, e questo è la principale causa della disoccupazione, che rischia di divenire endemica in assenza di riforme strutturali del mercato del lavoro.
 
Le vecchie macchine manuali o semiautomatiche (tornio, frese, presse, ecc.) sono divenute completamente automatiche, trasformandosi da utensili, ancorché complessi, nelle mani di un operatore, in veri e propri centri di lavorazione autonomi ad alta produttività, in cui la funzione principale dell’operatore è l’alimentazione delle materie prime, lo scarico dei prodotti finiti, la pulizia dei macchinari, quand’anche queste funzioni non siano state anch’esse automatizzate nelle fabbriche più avanzate.
 
Le funzioni della lavorazione sono state estremamente semplificate: si sono costruite specificamente macchine a “prova d’idiota”, per renderne possibile l’utilizzo a chiunque anche senza specializzazione. Il tornitore abile di mano e con occhio acuto è stato sostituito da un manovale a cui si è insegnato a premere qualche pulsante; la dattilografa capace di battere a macchina senza errori (altrimenti occorreva strappare la lettera e ricominciare da capo) è stata sostituita da una generica impiegata che viene guidata dalla capacità di un  word processor.
 
Questa perdita di specializzazione del lavoro ha reso fungibili i lavoratori, che possono essere licenziati al primo accenno di crisi o per fare semplicemente più utile, tanto sono comunque facilmente sostituibili.
 
Questo nuovo meccanismo della produzione, la corsa all’automazione sempre più spinta caratterizzata dalla deliberata ricerca di macchine che consentano di ridurre il personale visto solo come un costo della produzione, ha rotto il vecchio meccanismo:  + mercato = + produzione = + occupazione = + mercato ecc.
 
L’imprenditore che oggi voglia aumentare la produzione, non assume altri dipendenti, ma acquista macchinari tecnologicamente più avanzati e razionalizza le catene di produzione e di distribuzione, spesso creando anche esuberi nel personale già esistente.
 
In questo modo si aumentano i profitti a breve termine delle imprese, accollando l’onere di mantenimento dei disoccupati allo Stato, ma si creano i presupposti di una ancor più profonda crisi delle imprese stesse riducendo progressivamente il mercato per il minor numero di persone fornite di denaro o di capacità di indebitarsi. L’esportazione a cui molte imprese ricorrono per fare profitto è solo un palliativo, essendo tutti i Paesi nelle stesse condizioni ed essendo quindi inevitabili prima o poi guerre commerciali basate sul dumping (vedi Cina) o su dazi d’importazione (vedi Stati Uniti).
 
L’evoluzione tecnologica della produzione si è sviluppata costantemente fin dalle più remote antichità (si pensi all’invenzione della ruota) allo scopo di  aumentare la produzione, migliorare i prodotti, ridurre la fatica del lavoro, ridurre i pericoli; e questa sua funzione ha assolto e sta assolvendo con efficacia.
 
Ma in ogni epoca storica i cambiamenti ed i miglioramenti apportati dall’evoluzione tecnologica al sistema produttivo hanno comportato cambiamenti anche profondi sul piano sociale, che però non è compito della tecnologia regolamentare.
 
Le applicazioni attuali della cibernetica e dell’intelligenza artificiale applicata spingono la società verso orizzonti ben delineati, ma che la società  stenta a tradurre in obiettivi da raggiungere individuando percorsi  definiti.
 
Finché le enormi potenzialità della tecnologia non si congiungeranno con la capacità regolamentare della società, non potremo uscire dall’attuale crisi socio-economica ma probabilmente potremo solo peggiorarla.
 

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